Il momento di affrontare il parto si avvicina ma non sono in ansia. Il coraggio non è un mia qualità e mi sono sempre sentita una donna con il panico da prestazione. Aggiungo a questo che la maternità mi ha reso ancora più sensibile di anni fa. Nonostante questo non ho paura di partorire perché so che rappresenta la fine di nove mesi con in pancia il mio bambino e il parto sarà il percorso da seguire per vederlo per la prima volta.
Quando arriverà quel momento, tra una contrazione e l’altra, troverò la forza di farcela, perché penserò che dolori e spinte mi porteranno alla fine di questo cammino difficile. E sì, i dolori saranno forti. Ne sarò sorpresa, come era capitato durante il travaglio con Francesco. So che penserò a quando finirà il mal di reni in cui sembra che ti stiano conficcando una spada dentro la schiena. E so anche che mi sentirò poco brava, inadatta a gestire la situazione; forse mi sentirò sola.
Gravidanza
In queste notti fatico a prendere sonno, non trovo una posizione comoda per riposare. Per far passare il tempo penso a come affrontare il parto naturale, a quando arriverà quel momento.
Mi piace immaginare che cosa farò, dove e con chi sarò.
A pochi giorni dall’inizio del 9 mese di gravidanza, con un utero accorciato da fine luglio, così morbido da essere a riposo per far passare agosto, mi sembra che questi giorni passino con il contagocce.
Nel momento in cui ho scoperto di essere in dolce attesa ho fatto due promesse:
- continuare a lavorare in gravidanza
- Godermi il periodo di maternità dell’ultimo mese
Pensavo di farcela, di non dover lavorare in gravidanza fino al nono mese, presentare la domanda per andare in maternità e poi vivere gli ultimi due mesi prima del parto pensando solo alla pancia e al relax. Pensavo di farcela e invece quella domanda non l’ho inviata e l’idea di riposarmi sta scemando di giorno in giorno.
I primi mesi di gravidanza non pensavo al corso preparto. Sapevo di averlo già fatto tre anni fa, sapevo che non lo organizzavano più nel paese in cui vivo e nel caso dovevo viaggiare.
Con il passare dei giorni mi sono chiesta perché avrei dovuto frequentarlo per la seconda volta, che cosa avrei potuto imparare. Mi sembrava un impegno in più, da sommarsi a tutte le cose da fare. Un lavoro da gestire con la pancia e un bambino in piena fase capricci, clienti che vogliono sempre le consegne per ieri. Frequentare il corso intensivo di copywriting pubblicitario che sto seguendo da marzo. E cucinare, stirare i panni in casa che da qualche mese si sono magicamente triplicati, pulire, giocare con Francesco e ascoltare tutte le sue richieste.
Abbiamo fatto la visita morfologica e la notte non ho dormito. La mia ginecologa mi aveva anticipato il sesso del nuovo baby in famiglia – un altro maschietto – ma voleva che la conferma arrivasse con l’esame ufficiale. Io ho sperato fino alla fine che fosse femmina e anche se avevo capito, questo esame mi serviva dal punto di vista psicologico per averne la certezza. Sapevo che solo da quel giorno avrei sentito, chiamato, riconosciuto mio figlio come un maschio. Che avrei pensato a un LUI da coccolare, senza più dubbi.
Non è stato come la prima volta. Non è stato come per Francesco. Con lui non capivo, mi sentivo insensibile, ghiacciata e quelle macchie nere non somigliavano al suo corpo. Ho vaghi ricordi emozionanti delle ecografie del primo figlio e anche se non vedevo l’ora di vederlo, in tutto ero inconsapevole.
Durante la prima gravidanza mi sono chiesta mille volte come potevo avere un bambino dentro e non capivo perché non riuscivo a riconoscerlo in un ecografo, come mai il cuore non batteva all’impazzata. E quando tornavo a casa, per quanto felice delle belle notizie, non avevo voglia di volare. Ero solo tranquilla che tutto stesse procedendo bene. Serena.